SO2 nel Sidro: Parte II
Cristian Galaz Torres
I’SO2 e il suo uso nell’enologia
Il diossido di zolfo (Figura 1), o SO₂ (Numero di riferimento: 7446-09-5, secondo la notazione CAS – Chemical Abstracts Service), in cantina viene colloquialmente chiamato “solforosa”, in riferimento al suo nome meno corretto “anidride solforosa”.
Figura 1: Rappresentazione schematica della struttura chimica del diossido di zolfo.
Nel mosto e nel sidro di mele, l’SO₂ si presenta in diverse frazioni e forme, a seconda delle condizioni fisico-chimiche e della presenza di sostanze combinanti. La somma di queste frazioni determina il contenuto totale di SO₂ (Figura 2):
• Anidride solforosa combinata:
- Anidride solforosa combinata labile: legata reversibilmente a composti come glucosio, acido piruvico, acido α-chetoglutarico, acido galatturonico e antociani (nel caso di mele di polpa rossa).
- Anidride solforosa combinata stabile: Legata fortemente all’acetaldeide e altre aldeidi.
La stabilità di questi legami dipende di fattori come il pH (instabili in ambiente alcalino) e dalla temperatura (instabili in ambiente acido a temperature elevate), separandosi e contribuendo ad aumentare la frazione di SO2 libera.
• Anidride sulfurosa libera:
- Solfito (SO₃²⁻): Presente in piccole quantità nel normale intervallo di pH del mosto e del sidro.
- Bisolfito (HSO₃⁻): Ha attività anti-ossidante e anti-ossidasica (inibizione degli enzimi ossidativi). Rappresenta la maggior parte della SO₂ libera al pH tipico dei mosti e sidri. Previene l’alterazione degli aromi e del colore dovuti al contatto con l’ossigeno.
- Anidride solforosa attiva o molecolare (SO₂): Ha un’attività antimicrobica, efficace solo a pH inferiori a 3,8. La sua concentrazione aumenta notevolmente con la diminuzione del pH e aumenta ulteriormente con l’aumento della temperatura, della concentrazione di alcool e della forza ionica. Muffe (funghi filamentosi), lieviti selezionati (di solito Saccharomyces cerevisiae e Saccharomyces bayanus), lieviti indigeni (principalmente generi di lieviti apiculati non-Saccharomyces e una piccola percentuale di Saccharomyces cerevisiae), batteri lattici (comunmente Oenococcus spp., Pediococcus spp. e Lactobacillus spp. e Leuconostoc spp.) e batteri acetici (Acetobacter spp.) sono sensibili alla SO₂ a diversi livelli di concentrazione e la loro sensibilità aumenta con l’aumento della concentrazione di alcool, essendo Saccharomyces cerevisiae particolarmente resistente all’SO2. Ciò consente di modulare il dosaggio di SO₂ prima dell’inizio della fermentazione alcolica per selezionare i lieviti desiderati, favorendo o meno i lieviti indigeni o selezionati e, allo stesso tempo, controllare la proliferazione batterica. Inoltre, il dosaggio di SO₂ alla fine della fermentazione e imbottigliamento permette di decidere se la fermentazione malolattica sarà completa, parziale o inibita, nonché di controllare la crescita dei batteri acetici, garantendo così la stabilità microbiologica del vino.
Figura 2: Le diverse forme di SO2 nei mosti e sidri.
*PK calcolate al grado alcolico del vino. Elaborazione propria in base a J. Blouin (2017).
L’applicazione dell’SO2 nella sidrificazione
- Macinatura delle mele e macerazione delle vinacce:
In generale, nel sidro non utilizziamo il SO₂ durante queste fasi, salvo in casi particolari in cui intendiamo effettuare macerazioni riduttive, ossia in assenza di ossigeno, per limitare ulteriormente l’ossidazione del mosto. Un’elevata concentrazione di SO₂ a contatto con le vinacce di mele potrebbe estrare aromi e sapori “verdi” indesiderati, oltre a inibire l’ossidazione di composti fenolici facilmente ossidabili, che potrebbero successivamente ossidarsi in bottiglia. Infine, è un approccio che evitiamo, sopprattutto in processi come il Keeving, come già accennato nel post precedente.
- Pressatura delle mele macinate e ricezione del mosto:
La situazione ideale sarebbe aggiungere il minimo possibile di SO₂ (o evitarla del tutto), senza superare i 50-60 mg/L di SO₂ aggiunta al mosto prima della fermentazione. Tuttavia, questo dipende principalmente dal pH del mosto (come illustrato nella Tabella 1), oltre che dalla pulizia e dalla sanità delle mele e dall’igiene della cantina. La situazione peggiore si avrebbe, ad esempio, utilizzando mele sporche (raccolte da terra e mal lavate), con un’alta percentuale di marciumi e un pH molto elevato (vicino a 3,8 o superiore). In queste condizioni, se si desidera produrre sidro con poca o nessuna SO₂, essa risulterebbe inefficace, poiché si combinerebbe rapidamente e non sarebbe sufficiente a fermare i batteri e i lieviti contaminanti, né a controllare l’ossidazione enzimatica e chimica. Al contrario, contribuirebbe solo ad aumentare la SO₂ totale.
Se invece le mele sono sane (senza marciumi) e ben lavate, il mosto ha un pH basso (< 3,0-3,30) e viene mantenuta una rigorosa igiene di cantina, è possibile aggiungere una bassa dose di SO₂, o addirittura evitarne, soprattutto se è disponibile un piede di fermentazione per l’inoculo. In questo modo si avvia rapidamente la fermentazione e si evitano problemi di contaminazione o di eccessiva ossidazione.
Tabella 1: Aggiunta di SO2 nei mosti di sidro.
Tabella modificata in base ad A. Lea (2015).
La Tabella 1 mostra la quantità di SO₂ totale necessaria per generare 1 mg/L di SO₂ attiva o molecolare nei mosti di sidro, in funzione del pH, tenendo conto delle perdite dovute al legame con i composti combinati (colonna sinistra). Questa quantità è sufficiente per arrestare la crescita di batteri e lieviti indigeni, consentendo successivamente l’inoculo con un ceppo di lieviti selezionati. In questo caso, la SO₂ viene aggiunta 12-24 ore (circa 18 ore) prima dell’inoculo; altrimenti, l’avvio della fermentazione potrebbe essere rallentato. Questo intervallo di tempo, prima dell’inoculazione, può essere utilizzato per consentire la chiarificazione enzimatica del mosto.
La colonna di destra, invece, indica il dosaggio di SO₂ necessario per controllare i batteri preservando i lieviti indigeni, un approccio che ritengo più razionale per mantenere l’identità e la complessità del sidro, riducendo al minimo l’uso della SO₂. Occhio, questo non esclude la possibilità di utilizzare successivamente un lievito selezionato come inoculo sequenziale per completare la fermentazione in sicurezza. È importante notare che i livelli di SO2 suggeriti in questa tabella sono stati stabiliti nel 1970 per le mele da sidro del West Country britannico, raccolte da terra e in condizioni di sanità non omogenea. Se si utilizzano mele raccolte a mano, pulite e prive di marciumi, è possibile ridurre ulteriormente l’uso della SO₂. Pertanto, i livelli indicati in questa tabella possono essere considerati limiti massimi ragionevoli.
Oltre a quanto detto in precedenza, esistono ragioni tecniche che suggeriscono il vantaggio di limitarne l’uso o di eliminarlo del tutto nella fase di ricezione del mosto:
- L’aggiunta di SO₂ in questa fase si combinerà inevitabilmente durante la fermentazione alcolica, aumentando la quantità di SO₂ totale.
- I lieviti, in presenza di una elevata concentrazione di SO₂ del mosto, aumentano la produzione di acetaldeide durante la fermentazione alcolica. Ciò richiede dosi maggiori di SO₂ dopo la fermentazione, a causa della maggiore combinazione con l’acetaldeide, con conseguenti livelli più elevati di SO₂ totale.
- Alti livelli di SO₂ prima della fermentazione portano a una forte riduzione (squilibrio REDOX), con produzione di solfuro di idrogeno. (H₂S) e mercaptani (odori sgradevoli di uova marce e verdure marce). Possono essere difficili da gestire se le loro concentrazioni sono eccessive.
- L’uso di gas nobili, come CO₂, N₂ e argon, è spesso utilizzato per proteggere il mosto dall’ossidazione, riducendo così la necessità dell’uso esclusivo della SO₂. Tuttavia, nel caso del sidro, come in quello del vino, un certo grado di ossidazione iniziale – seppur controllata – può essere vantaggioso, in quanto favorisce lo sviluppo dei lieviti e la formazione di profili sensoriali distintivi. Una quantità eccessiva di SO₂ durante la produzione del sidro, invece, può ostacolare la normale evoluzione del sidro.
- D’altra parte, un colore giallo estremamente pallido non è generalmente desiderato nel sidro, contrariamente a quanto avviene comunemente per il vino bianco o lo spumante. D’altra parte, un certo grado di colore è ben accettato dai consumatori e, in alcuni casi, è inevitabile a causa dell’elevata quantità di polifenoli in alcune varietà di mele.
- Stabilizzazione post fermentativa e imbottigliamento:
Tradizionalmente, nei metodi Martinotti e Classico, dopo il completamento della fermentazione alcolica (con meno di 2 g/L di zuccheri riducenti) e della fermentazione malolattica (che può essere completa, parziale o assente, a seconda dell’equilibrio di acidità e della facilità di conduzione in relazione al pH), si aggiunge generalmente una dose di SO₂ per mantenere un livello di 15-25 mg/L di SO₂ libera durante l’affinamento. A questo punto, il livello totale di SO₂ non dovrebbe superare i 60-80 mg/L. Una leggera diluizione di CO₂, insieme al mantenimento di una lieve pressione, può sostituire ulteriori aggiunte di SO₂, contribuendo a evitare un incremento della SO₂ totale.
Successivamente, prima dell’imbottigliamento, è necessario procedere alla stabilizzazione fisico-chimica del sidro. Questo processo comprende la regolazione del pH, la filtrazione e, in alcuni casi, l’aggiunta di altri prodotti enologici antiossidanti o antisettici (a seconda del tipo di sidro), compresa la regolazione della SO₂.
In questa fase, per i sidri secchi si mira generalmente a un livello di SO₂ libera compreso tra 35 e 50 mg/L. È importante considerare la combinazione che si verificherà tra SO₂ e l’ossigeno presente al momento dell’imbottigliamento. Questa combinazione include sia l’ossigeno disciolto nel sidro sia quello presente nello spazio di testa della bottiglia. Inoltre, è fondamentale tenere in considerazione il tasso di trasmissione dell’ossigeno (OTR) attraverso il tappo a sughero o a corona, in relazione al tempo stimato di permanenza del sidro sul mercato e all’evoluzione desiderata del prodotto. Questo è importante perché, in pratica, 1 mg di O₂ reagisce con 4 mg di SO₂. Pertanto, all’aumentare della quantità totale di ossigeno presente, si avrà una maggiore perdita di SO₂.
Il controllo accurato di questi aspetti permette di ridurre la quantità di SO₂ al minimo necessario, evitando perdite dovute a un imbottigliamento inadeguato, che potrebbe esporre il sidro a contaminazioni indesiderate e a ossidazione precoce (<10 mg/L di SO₂ libera).
Per garantire la stabilità microbiologica durante l’affinamento e l’imbottigliamento, è essenziale mantenere un livello minimo di sicurezza di SO₂ libera, tale da permettere il raggiungimento di una concentrazione di SO₂ molecolare di almeno ≥0,6-0,8 mg/L nei sidri secchi e ≥0,8-1,5 mg/L nei sidri dolci. Nei sidri secchi a basso pH (<3,3), queste concentrazioni minime sicure di SO₂ molecolare possono essere facilmente raggiunte con i range di SO₂ libera generalmente raccomandati sopra indicati.
Esistono alternative all’aggiunta di SO₂ nel processo di imbottigliamento, come il metodo ancestrale. Tuttavia, a differenza dei metodi Martinotti e Classico, è importante tenere presente che nel prodotto finale saranno presenti le fecce di lievito, che possono intorbidire il sidro e causare il fenomeno del “gushing”. Inoltre, la stabilità microbiologica può essere compromessa, riducendo significativamente la durata di conservazione del sidro. Per questo motivo, è consigliabile lavorare fin dall’inizio con un pH basso (pH<3,3), chiarificare/filtrare leggermente il sidro prima dell’imbottigliamento, produrre sidri a basse pressioni (1,5-2,5 atm) e garantire la catena del freddo dopo la fermentazione in bottiglia. Infine, è preferibile vendere il prodotto prima di un anno per garantirne la qualità.
Esistono certamente altre alternative, ma questo esula dallo scopo di questo post. Qui ci siamo concentrati sulla discussione dell’argomento in generale su metodi Martinotti, Classico e Ancestrale.
Come vengono analizzati e determinate l’SO2 totale, SO2 libera e SO2 molecolare
In cantina, i metodi più comuni per l’analisi della SO₂ libera, combinata e totale sono il metodo Ripper e il metodo per aspirazione, quest’ultimo è il metodo ufficiale d’analisi secondo il codice OIV 503.
Oggi, però, sono disponibili alternative più pratiche e rapide, come i sistemi Glass-chem e dispositivi portatili come il Cider-Lab, fra altri. Invece, per calcolare la SO₂ molecolare, è necessario prima conoscere almeno la concentrazione di SO₂ libera e il pH (idealmente, è utile anche considerare il contenuto di alcool). Per semplificare questo calcolo, si può usare una di tante applicazione o siti web gratuiti, tale come:
Come l’SO₂ viene aggiunto al mosto e al sidro
L’SO₂ viene aggiunta al vino utilizzando diverse forme, ciascuna con applicazioni specifiche. Il metabisolfito di sodio (MBS) e quello di potassio (MBP) sono polveri comunemente disciolte in acqua al 10% (~5% SO₂) o aggiunte direttamente ai mosti per liberare SO₂, principalmente a livello domestico o in piccole cantine.
Le tavolette di MBP (Camden o IOC) offrono un dosaggio pratico, alcune delle quali sono effervescenti, risultando particolarmente adatte per cantine di dimensioni ridotte. La SO₂ in forma gassosa, invece, è impiegata principalmente a livello industriale, poiché consente un controllo più preciso del dosaggio, ma richiede attrezzature specifiche. La scelta del metodo dipende dal contesto produttivo e dalle esigenze di precisione o praticità.
Conclusioni
Penso che a questo punto sia chiaro che l’uso di SO₂ nella produzione di vini e sidri non sia un capriccio, ma una pratica che richiede una profonda comprensione delle sue implicazioni sia per la salute che per il processo produttivo. Questo aspetto è particolarmente rilevante per chi si oppone al suo utilizzo, poiché solo così si può avviare un dibattito basato su argomentazioni solide. Nel prossimo e ultimo post di questa serie dedicata all’SO₂ nel sidro, parlerò di alcune misure efficaci e delle nuove tecnologie attualmente in fase di sperimentazione che, probabilmente, saranno presto disponibili per ridurre al minimo l’aggiunta di SO₂, ovviamente senza compromettere la stabilità microbiologica e fisico-chimica del sidro o del vino.
Cin cin!
Cristian Galaz Torres
Ing. Agronomo-Enologo
PhD, Università di Bologna, Italia
@cristiangalazt
Bibliografia
- Andrew Lea. Sulphur Dioxide – the Cidermaker’s Friend. The Wittenham Hill Cider Pages. http://www.cider.org.uk/frameset.htm
- Blouin, J. (2017). La SO₂ in enologia. Proprietà e limiti. Effetti tecnologici. Utilizzo pratico. Soluzioni alternative (Ed. it.). Eno-One.
- OIV International Organization of Vine and Wine. (2021). SO2 and wine. A review. https://www.oiv.int/en/technical-standards-and-documents/oiv-international-organization-vine-and-wine